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La miniera di galena argentifera di Viconago

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gigilugi
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La miniera di galena argentifera di Viconago

Messaggio da gigilugi »

Fonte: Journal des mines, N°. 226, ottobre 1815
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ghe voeuren i garun

12 settembre 1993 - 20 maggio 2012 - One Love
frenand
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Re: La miniera di galena argentifera di Viconago

Messaggio da frenand »

Complimenti, molto interessante!

saludi
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frenand
gigilugi
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Re: La miniera di galena argentifera di Viconago

Messaggio da gigilugi »

Ed eccovi qui di seguito la traduzione fatta da me del precedente articolo (forse non sarà corretta al 100%, ma spero sia di aiuto).
Un ringraziamento va anche a Mastro frenand che mi ha aiutato a schiarirmi le idee su un paio di termini un po' troppo tecnici per il mio francese.


Sulle spese e sui prodotti dei vari metodi usati per fondere la galena argentifera delle miniere di Viconago, in Italia.

JOURNAL DES MINES. N°. 226. OTTOBRE 1815. Conte Achille de Jouffroy.

Localizzazione delle miniere di Viconago.
Le miniere di Viconago sono localizzate vicino al lago di Lugano, a poca distanza dalle pendici del monte San Gottardo, nella catena di montagne di media altitudine che succedono ai graniti, e sono divise dalla pianura della Lombardia dalle colline calcaree di seconda formazione (1).
Queste montagne metallifere giacciono generalmente su una base di granito o di gneiss. La loro massa è formata da scisto micaceo, mischiato a roccia argillosa compatta. Le loro sommità sono ricoperte da banchi di questa roccia argillosa, cosparsa di grani calcarei, alla quale i tedeschi hanno dato il nome di feldspath porphyr. Esse rinchiudono in molti luoghi dei solfuri di rame, di antimonio, di piombo; delle piriti aurifere, dei minerali di ferro spatico; ematite, pietra speculare; dei filoni di solfato di calce di colore rosa, semi-opaco. Alcune di queste miniere sono sfruttate per il ferro ed il rame; ma la più considerevole di tutte è quella di piombo argentifero di Viconago.
I filoni di questa miniera sono rinchiusi nello scisto micaceo argentino, di cui tagliano trasversalmente gli strati; il più considerevole è quello chiamato di San Luigi; questo bel filone è stato riconosciuto su una lunghezza di 500 tese, e seguito da una galleria di 130, e da pozzi di 40 tese di profondità. È stato trovato ovunque di una natura quasi uguale; la sua direzione è da S.O. a N.E.; la sua inclinazione molto vicina alla perpendicolare, da 86 a 87 gradi sull'orizzonte. Il suo spessore è da tre a quattro piedi. La sua ganga è una mescolanza di roccia di montagna, corredata di quarzo, di solfato di barite, di fluoruro di calce, di solfato di calce, di ferro spatico, mischiati confusamente. La galena è dispersa in questa miscela in piccole reti ed in ramificazioni, di cui poche superano lo spessore di un dito. In alcune cavità, che sono rare, si presenta in piccoli cristalli ottaedri; quasi ovunque è in piccoli grani molto fini, e talmente dispersa nella ganga che tutto questo filone produce solamente del minerale da frantumare.

Prodotto di queste miniere.
Un'esperienza che ho fatto su 47 tese di galleria, estratta in differenti punti di questo filone, e di cui ho tenuto conto esatto dei prodotti, mi ha dimostrato che ogni tesa di galleria, corrispondente a 144 piedi cubi, produce 40.000 libbre di minerale grezzo, che, frantumato e lavato, hanno reso 680 libbre di schlich (peso di 12 once), contenente 306 libbre di piombo e 17 once di argento. Cosa che, secondo il prezzo comune di questi metalli, porta il prodotto di una tesa di galleria a 209 franchi circa. La spesa di scavo, manutenzione delle gallerie, frantumazione e lavaggio, può essere valutata nei lavori in grande, a 150 fr. Restano dunque 59 fr. per le spese di fonderia, e per il beneficio degli imprenditori.

Nota storica.
Queste miniere, sfruttate superficialmente fin dall'anno 1550, furono abbandonate nel secolo seguente, probabilmente perché, non essendo ancora introdotto a quell’epoca l'uso di macchine perfezionate per frantumare il minerale e lavarlo, il minerale, molto difficile da fondere nel suo stato impuro, non ripagava la spesa; esse furono riaperte nel 1800 sotto la condotta di un abile mineralogista tedesco, il Sig. d’Odmarck, che formò una società a questo scopo, e, durante otto anni consecutivi di lavoro, spese in questo sfruttamento più di 500.000 fr.
Il sig. d’Odmarck fece costruire sedici edifici per contenere i frantumatori e i lavatoi. La valle, prima quasi inaccessibile, nella quale fu aperta la galleria principale, divenne a sua cura una specie di villaggio pieno di fabbriche, dove 300 operai erano incessantemente occupati all'estrazione ed alla preparazione del minerale. Fece scavare diverse gallerie trasversali e di scolo. Infine, essendo finiti i fondi, questa società fu obbligata ad abbandonare i lavori nel 1809.
A questa epoca, fui invitato a visitare queste miniere, ed a riorganizzarvi dei lavori. Quelli del sottosuolo mi sembrarono ben concepiti, ed io non credetti di potere fare di meglio che seguire i piani del mio predecessore. Quelli dei frantumatori e dei lavatoi ebbero bisogno solamente di alcuni perfezionamenti di dettaglio; ma quelli delle fonderie erano difettosi; ed era là una delle cause principali delle perdite della società Odmarck. Mi si assicurò, fin dal mio arrivo, che il minerale era di una natura molto difficile a trattare nelle fusioni in grande. Fui dunque costretto a occuparmi quasi esclusivamente di questa parte interessante dei lavori; ed è il risultato delle mie esperienze che è l'argomento di questa Memoria.

La prova del minerale frantumato e lavato, o schlich, mi ha prodotto, su 100 parti:
Piombo . . 45,50
Argento . . 0,46

L'analisi ha fatto scoprire:
Antimonio . . . . . . 2,25
Zolfo . . . . . . . . . 18,00
Ossido di ferro . . 1,00
Silice . . . . . . . . . 20,00
Allumina . . . . . . . 6,50
Calce . . . . . . . . . 3,50
Totale . . . . . . . . 97,21

Più, una piccola quantità indeterminata di acido solforico, barite, e potassa.

Fusione del 1806.
Il primo metodo impiegato nel 1806 per fondere il minerale, consisteva nello scaldarlo su un ceppo, all'aria aperta, ed a passarlo in questo stato nel forno a manica con delle scorie ferruginose che gli servivano di fondamento. L'estratto dei registri dell'amministrazione, i rapporti degli operai impiegati a questa operazione, e tutte le informazioni che mi sono potuto procurare su questo argomento, mi hanno dimostrato che in questo modo non si erano mai ottenute che 330 libbre di piombo prodotto per 1000 libbre di schlich. Ciò che presenta una perdita di 125 libbre per 1000 libbre di minerale, a meno del collaudo.
80.000 libbre di minerale fuso nel 1806 con questo metodo, hanno dato i seguenti risultati:

Prodotto.
26.500 libbre di piombo contenenti 182 marchi d’argento (33 per 100).

Spese.
Legno di faggio in ceppi, consumato in nove graticole successive 900 quintali metrici a 1 f. il quintale . . 900 f.
15.000 libbre di scorie di forni di ferro, del costo, a ragione del trasporto, di 7 f. il migliaio . . . . . . . . . . . 105 f.
300 misure di carbone di legno forte, formanti insieme 7.500 piedi cubi a 4 f. la misura . . . . . . . . . . . . 1.200 f.
40 giornate di maestro fonditore a 3 f. 50 c. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .40 f.
240 giornate di operai e manodopera a 1 f. 50 c. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .360 f.
Totale della spesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.705 f.


Ne risulta che le spese di questa fusione si sono alzate a più di 33 franchi ogni 1000 libbre di minerale, ai quali aggiungendo 125 libbre di piombo perso nell'operazione, e valutate 84 fr. e 30 c., si vede che questo metodo è costato realmente agli imprenditori 117 fr. 64 c. per 1000 libbre di schlich.
I dati sopra dimostrano comodamente che il metodo difettoso adottato in questa fusione, bastava per assorbire, ed oltre, tutti i benefici che la Società poteva ripromettersi da questo sfruttamento.

Fusione del 1808.
Nel 1808, il Sig. d’Odmarck abbandonò questo metodo, ed introdusse nelle sue fonderie il procedimento adottato da M. di Blumenstein a Vienne, che consiste nel desolforare la galena per mezzo del ferro. A questo fine costruì, con notevole dispendio, un forno a riverbero abbastanza male eseguito, che trovai ancora in attività al mio arrivo alle miniere, ed io continuai a fondere così una parte del minerale che esisteva.
Il forno conteneva circa 2000 libbre di minerale; dopo tre ore di fuoco intenso, la galena entrava in fusione liquida; si preparavano allora qui, a più riprese, da 5 a 600 libbre di ferraglia, o pezzi di ferro vecchio. Quando tutto questo ferro sembrava distrutto, unito allo zolfo, e galleggiava nel bagno in forma di scorie fluide, si apriva il forno, e si raccoglievano sul fondo circa 800 o 810 libbre di piombo non raffinato (da 40,0 a 40,5 per 100), se l'operazione era stata ben fatta. In caso contrario, una parte della galena, non decomposta restava unita al solfuro di ferro che si era formato, ed esigeva una nuova operazione di frantumazione e di lavaggio, per potere essere rimessa nel forno per parti, e nelle colate successive. Non c’è bisogno di osservare che le scorie magre di queste fusioni, composte quasi interamente da solfuro di ferro, non potevano essere ripassate nel forno a manica per estrarne la piccola quantità di piombo e di argento che trattengono sempre, senza essere state innanzitutto molto desolforate; operazione che avrebbe comportato una spesa superiore a quanto si sarebbe ricavato dal prodotto.

Ogni colata durava dalle 15 alle 18 ore, e consumava 15 quintali di legna, costando: . . 15 f.
6 quintali di ferro vecchio, costanti: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 f.
La manodopera circa: . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 f. 50 c.
Totale della spesa per 2000 libbre di minerale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .67 f. 50 c.

Sebbene le spese di questa fusione fossero pressappoco uguali a quelle della precedente, si vede che era molto preferibile in rapporto ai prodotti, poiché lo scarto del metallo non è che di 50 libbre per migliaio al posto delle 125 sofferte dalla grata su ceppo.
Ma la difficoltà nel procurarmi una quantità abbastanza considerevole di ferro vecchio (il granulato di ferro di fusione, non riempie molto bene l'oggetto), unito alla costruzione difettosa del forno che si era spaccato nelle ultime colate e lasciava perdere una parte del metallo, mi determinarono, al posto di ricostruirlo, a cercare un metodo di fusione più economico e più produttivo.

Metodo di Bleyberg in Carinzia.
Avevo seguito, durante qualche tempo, i lavori delle miniere di piombo di Bleyberg, in Carinzia. In queste fonderie non si fa uso quasi che di forni a riverbero, il cui fondo è inclinato verso la bocca, di un pollice per piede. Ci si stende lo schlich, e si aumenta gradatamente il fuoco agitando continuamente il minerale con le spatole di ferro. Quando la maggior parte dello zolfo è evaporata, il metallo comincia ad apparire, e colando sul fondo inclinato, inizia ad uscire dalla bocca del forno. Le spatole di ferro di cui si fa uso in questo lavoro, contribuiscono probabilmente anche loro, distruggendosi, a desolforare la galena; infatti se ne consumano abitualmente parecchie ad ogni colata. Si ottengono in questo modo i 9/10 del piombo contenuto; e, quando si è riunita una sufficiente quantità di scorie di queste fusioni, le si ripassa nel forno a manica per estrarne il restante.
Mi risolsi di mettere in uso, a Viconago, un procedimento analogo a quello della Carinzia. Ma la galena di Bleyberg ha la ganga calcarea, è a larghe faccette, molto ricca in piombo, e non contiene quasi argento. Tutti questi caratteri, molto differenti da quelli della galena di Viconago di cui ho riportato l'analisi, sembravano indicarmi che lo stesso procedimento potrebbe non essere applicabile a entrambe. Mi dissero, inoltre, che si era costruito, negli anni precedenti, un forno seguente l'uso di Bleyberg, non lontano da Viconago; che un fonditore, venuto apposta dalla Carinzia, aveva voluto trattare il minerale con questo metodo, e che dopo parecchie prove infruttuose, aveva dovuto rinunciare alla sua impresa, senza avere potuto ottenere dal suo forno a riverbero una sola oncia di piombo. Malgrado queste osservazioni, conoscendo del resto i pregiudizi ordinari dei fonditori tedeschi, io non mi scoraggiai, e costruii un forno, il più economicamente, per la verità, che mi fu possibile.
Questo forno era doppio, o a due letti, col focolare nel mezzo. Conteneva un migliaio di libbre di schlich che si distribuivano in ugual modo nei due lati. Fu costruito in dieci giorni, e costò 650 franchi.
Dopo diverse prove il cui dettaglio sarebbe troppo lungo da riportare qui, credetti di dovermi attenere definitivamente al procedimento che vado a descrivere.

Fusione del 1811, eseguita dall'autore.
Dopo avere steso il minerale sul fondo del forno, vi si mantiene e si modera il fuoco con tutte le precauzioni possibili, in modo che l'interno del forno ed il minerale stesso non siano mai che di un rosso ciliegia, finché il minerale non esala più nessun odore sensibile di zolfo. Lo si agita quasi continuamente coi riavoli; essendo questo minerale molto fusibile, questa operazione è abbastanza delicata sotto il profilo della condotta del fuoco; un istante di una fiamma poco viva basta per determinare una fusione pastosa alla superficie del minerale che si raggruma e si unisce in gomitoli. In questo caso, non c’è altro rimedio che lasciare cadere il fuoco, e di polverizzare di nuovo il minerale nel forno stesso, con l'aiuto dei riavoli; operazione che non si fa senza qualche fatica e senza perdita di tempo. Dopo tre o quattro ore di fuoco moderato, il minerale sembra sufficientemente desolforato; allora si aumenta il fuoco, il minerale entra in fusione, e scende sul fondo inclinato verso la bocca del forno, facendo un rumore simile a quello dell'olio scaldato in una padella. Si ottiene allora un vetro di piombo unito alle terre vetrificate, ed ad una porzione di zolfo che ne è inseparabile, qualsiasi siano le precauzioni tenute nella condotta del fuoco. Quando questa massa in fusione si avvicina alla bocca del forno, si getta, a palate, della polvere di carbone e della brace del focolare per fermarlo. Questo carbone, consumandosi, ravviva del piombo, e questo metallo non tarda ad apparire. Continuando così, si ottengono comunemente i tre quarti del metallo contenuto. Il fuoco, spinto fino là gradatamente, è arrivato al punto che tutto l'interno del forno è di un bianco scintillante. Il minerale tuttavia, è diventato sempre meno fluido; in questo stato si getta poco a poco del minerale di ferro spatico frantumato e lavato (2), fino a raggiungere le 100 libbre. Muovendo la miscela, prende la forma di una pasta dura, che si ritira dal forno; e, quando è raffreddata, la si rompe in pezzi per passarla nel forno a manica, dove, senza l’aiuto di nessun altro fondente, si ritira tutto il piombo che contiene. La differenza del suo prodotto con quello risultante dalla prova, è risultata essere solo dello 0,5 per 100.
L'operazione che ho fatto su 60.000 libbre mi ha dato i seguenti risultati:

Prodotto.
27.000 libbre di piombo non raffinato (45 per 100), contenenti 183,5 marchi di argento.

Spese.
480 quintali metrici di legno di faggio a 1 f. il quintale . . .480 f.
54 quintali di miniera di ferro frantumato e lavato . . . . . . .72 f.
60 misure di polvere o minuto di carbone . . . . . . . . . . . . 120 f.
120 misure di carbone per il forno a manica . . . . . . . . . . 480 f.
Stipendio di un maestro fonditore e di tre operai . . . . . . 132 f.
Totale della spesa per 60.000 libbre . . . . . . . . . . . . . . .1.284 f.
escluse le spese di amministrazione e di manutenzione degli edifici.

Per maggior comprensione di ciò che precede, presento qui, un quadro comparativo dei prodotti e delle spese, calcolati su 1000 libbre di minerale, secondo i diversi metodi di fusione impiegati in queste miniere, e descritti sopra.
Inoltre, ho unito a questa Memoria i disegni di un forno a riverbero, di mia invenzione, che è servito nell'ultima fusione di 60.000 libbre, e che mi è sembrato, sotto il profilo della facilità del lavoro e dell'economia del combustibile prevalere di molto su quelli in uso nella Carinzia.
Mi resta solamente da osservare che benché galene di differenti nature possano esigere qualche diversità di trattamento nella fusione, non ne esiste nessuna, almeno a mia conoscenza, che non possa essere fusa correttamente da un metodo analogo all'ultimo sopra descritto, salvo fornirgli dei fondenti se la sua ganga è refrattaria, ed a condurre il fuoco secondo ciò che esigerà. Così questo metodo che non è nuovo, e nel quale non ho forse altro merito che quello di averlo eseguito con cura, e di avere introdotto l'aggiunta del minerale di ferro, mi sembra debba essere raccomandato preferibilmente a tutti gli altri, per la fusione dei minerali di piombo solforoso; persuaso che, quando un poco di esperienza avrà indicato al fonditore il cammino da seguire, si riconoscerà che è il più economico e più produttivo.
Infine non mi resta che raccomandare di abbandonare, una volta per tutte, il metodo svantaggioso di arrostire il minerale su ceppo all'aria libera. Oltre al maggior consumo di combustibile che esige, il metallo ne soffre un immenso scarto. Non potendovi dirigere in ugual misura la forza del fuoco, il minerale non si dezolfa affatto in certi tratti, mentre in altri il metallo è volatilizzato dalla violenza del calore. Se il minerale è fusibile, come quello di cui abbiamo parlato qui, si accalca e si riunisce in masse semi-vetrificate nelle quali lo zolfo rimane inseparabilmente unito. Se lo si passa nel forno a manica in questo stato, non si ottengono che degli opacizzati solforosi; e, per ottenerne il metallo, si è obbligati a polverizzarlo, e a stenderlo di nuovo sul rogo della grata. Ora, ciascuna di queste operazioni determina sempre perdita di tempo, di metallo e di combustibile. Queste considerazioni devono senza dubbio farci sostituire ovunque il metodo della graticola col riverbero.

________

1. Lasciando la pianura della Lombardia per avvicinarsi al monte San Gottardo, si incontra dapprima una catena di colline composte di brecce, formate dai frammenti circolati di gneiss, di graniti, serpentine, ed altre rocce primitive che provengono dalle Alpi superiori, e riunite da un cemento argilloso. In alcuni luoghi, queste brecce contengono anche delle sostanze calcaree. Dopo queste colline, si trova una catena di montagne calcaree con alcune conchiglie, ma cosparse soprattutto di calcedonia nera che sembra rappresentare, in un modo informe, delle figure diverse. Tra gli strati di questo calcare, si sono incontrati degli strati poco spessi di carbone di origine vegetale eccellente. A queste montagne seguono, sempre salendo, le montagne metallifere di cui si tratta qui. È da notare che gli strati di feldspath porphyr che ricoprono queste ultime quasi ovunque, e che il Brocchi ha chiamato granitoidi, sono mischiate da banchi molto spessi di gres siliceo; ciò sembrerebbe indicare una formazione contemporanea di queste due rocce di una natura così differente; o anche che questo porfido ha ricoperto, in alcuni luoghi, il gres già formato.

2. Questo minerale di ferro è estratto nella galleria traversale della miniera, dove, dopo avere superato il filone di San Luigi per andare alla ricerca di altri filoni, si è incontrata una massa di ferro spatico abbastanza ricco da determinare gli imprenditori a sfruttarlo, ed a stabilire un altoforno di 32 piedi di altezza per fonderlo. Questo minerale è combinato ovunque col solfato di calce. Ciò che costringe a frantumalo ed a lavarlo, perché, mentre il solfato di calce si decompone nell'altoforno, per il contatto col carbone, lo zolfo si unisce al metallo, che diffonde, uscendo, un forte odore solforoso, che non è proprio all'affinatura. Questo minerale, frantumato e lavato, contiene più del 50 per 100 di ferro dolce. Ho fatto, sul suo trattamento, un seguito di esperienze interessanti che mi hanno condotto a portare nella costruzione del focolare di fusione, detta alla catalana, alcuni perfezionamenti che mi sembrano meritare di essere descritti in un Memoria particolare.



Spiegazione della tavola.

A. Sezione del piano del forno all'altezza dei letti.
B. Elevazione esterna.
C. Sezione dell’interno del forno.
D. Profilo dell'interno del forno.

I seguenti numeri servono per le quattro figure.
1. Focolare del forno con la sua griglia.
2. Fondo del forno diviso in due letti per il focolare.
3. Portacenere.
4. Grande camino.
5. Piccoli camini che corrispondono a ciascuno dei due letti, e si riuniscono al grande camino nella parte posteriore superiore del forno.
6. Parte verticale di questi piccoli camini.
7. Registro collocato al di sopra di ogni bocca del forno, e formato da un mattone, che serve a regolare l'inspirazione della fiamma su ciascuno dei due letti del forno.
8. Porte murate che si aprono solamente quando i camini hanno bisogno di essere puliti.
9. Volte che servono ad alleggerire il massiccio del forno.
10. Bocche del forno dalle quali si introduce il minerale sul fondo, e dalle quali il metallo cola verso l'esterno.
Ultima modifica di gigilugi il ven giu 11, 2010 4:13 pm, modificato 3 volte in totale.
ghe voeuren i garun

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gigilugi
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Re: La miniera di galena argentifera di Viconago

Messaggio da gigilugi »

Infine vi fornisco una mia personale nota, che dovrebbe aiutare a districarvi un po' meglio con le unità di misura e alcuni termini tecnici

• 144 piedi cubi sono circa 4 metri cubi;
• feldspath porphyr: porfido. Feldspato compatto o petroselce con cristalli di feldspato. E’ rosso, grigio o bruno;
• forno a manica: il cubilotto (forno a manica) è il più vecchio tipo di forno utilizzato nell'industria della fusione dei metalli ed è usato ancora oggi per la produzione di getti in ghisa. È un forno a struttura verticale, costituito essenzialmente da un tubo verticale in lamiera, chiamato tino, rivestito internamente di materiale refrattario;
• forno a riverbero: forno munito di una volta che riflette il calore;
• ganga: materiale di scarto che deve essere tolto dal minerale prima di essere utilizzato;
• libbra (peso di 12 once): 340,2 grammi
• marco: antica unità di misura di peso;
per l’argento: 1 marco = 8 once
per l’oro: 1 marco = 24 carati
• riavolo: lunga asta di ferro per rimestare vetro o metalli fusi o attizzare e rimuovere il carbone in combustione nelle fornaci;
• schlich: termine metallurgico. Parola tedesca con la quale si indica il minerale frantumato, lavato e preparato per essere portato al forno di fusione;
• tesa: antico unità misura di lunghezza pari a 1,949 - 2 metri;
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Re: La miniera di galena argentifera di Viconago

Messaggio da paoric »

Azz ragazzi faccio fatica a starvi dietro con le letture!!! MITICI! :piega:
Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa andare bene come sei. Vivi come credi. Fai cosa ti dice il cuore…ciò che vuoi…. una vita è un’opera di teatro che non ha prove iniziali. Canta, ridi, balla, ama….e vivi intensamente ogni momento della tua vita…. Prima che cali il sipario e l’opera finisca senza applausi. (Charlie Chaplin)
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Re: La miniera di galena argentifera di Viconago

Messaggio da mauri »

Dunque le miniere di Argentera avrebbero avuto una quantità di maestranze di 300 "ouvriers", cioè operai, nel primo '800. Trattasi di un numero veramente rilevante per l'epoca ( ed anche per oggi ), paragonabile ad una media industria odierna. Veramente interessante! Si parla poi di una valle precedentemente inaccessibile, la cosa desta ancora più curiosità.
Complimenti per il reportage, che anche se un pò tecnico, è sicuramente da leggere!
Del resto, tanto per dare un'idea, la filanda Ranchet di Brinzio nel 1898 dava lavoro a 140 persone (prevalentemente donne) ma per l'epoca erano cifre veramente considerevoli. Anche a Cunardo c'erano le filande Adreani ecc.
Comunque complimenti per i ns. ricercatori "storici". :okboy:
Saluti.
gigilugi
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Re: La miniera di galena argentifera di Viconago

Messaggio da gigilugi »

Ecco altre informazioni, tratte da:
Oro, Miniere, Storia. Miscellanea di giacimentologia e storia mineraria italiana, pubblicato da Giuseppe Pipino nel 2003.

Nei pressi di Viconago, ai piedi del cucuzzolo detto l’Argentera, si trova una miniera di piombo e argento che antiche tradizioni popolari vorrebbero essere stata coltivata in epoca romana: nel corso di lavori eseguiti ai primi dell’Ottocento vi vennero trovate antiche gallerie nelle quali, secondo BROCCHI (1809) “…si riconosce essere stata svelta la roccia a colpi di scalpello e di mazza”. Lo stesso Autore riferisce che, secondo “...alcuni eruditi”, la miniera faceva parte di quelle concesse nel 1231 da Federico II (erroneamente nominato Barbarossa) ai Vescovi di Como, tanto che ad uno degli antichi cunicoli venne dato il nome di “galleria de’ Vescovi”; questa seguiva in effetti una delle vene piritose e cuprifere frequenti nella miniera, tanto da far ritenere che oggetto delle antiche coltivazioni era in effetti la presunta presenza dell’oro. Aggiunge inoltre che a Pontecchio Argentiera esisteva ancora “un vetusto edificio...dove si può arguire da alcuni indjzi che fossero collocate le fornaci, ed i lavatoj”.
La miniera di Viconago si apre lungo il torrente Dovrana, che scorre da Marchirolo alla Tresa, e la valle è appunto nota come Val Marchirolo: il toponimo, assieme a quello di Argentera, ci consente di riconoscervi la “cava d’argento” concessa nel 1475 dal duca di Milano ad Andrea Bonsignori, con varie facilitazioni (MORBIO, 1846). Successivamente la miniera venne infeudata al conte Ercole Busca, che morì nel 1571 mentre verteva una lite con il Fisco per il pagamento delle decime: i lavori vennero continuati per conto del fratello ed erede di Ercole, Cesare Busca, che si trovava però “nelle mani degli infedeli”. La miniera è data ancora esistente in una cronaca del 1619 (BROCCHI, 1809) e lo era certamente in tempi successivi: il 26 gennaio 1678, infatti, il Fisco notificava a Francesco Busca la richiesta di pagamento delle “cartelle per la Miniera” per gli anni 1676-77, oltre alle candele di sego dovute ai membri del Senato: il concessionario attribuiva il mancato pagamento all’inverno durissimo, che aveva impedito i lavori. In seguito, secondo le notizie raccolte sul posto da BROCCHI (1809), le miniere sarebbero state gestite dalla famiglia Nobili di Milano, alla quale veniva riferito il vecchio fabbricato “...dove sono stabiliti attualmente i lavatoj e la pesta”, ma lo stesso Autore riconosce di non aver nessuna certezza della cosa. In effetti, come abbiamo visto, P. Nobili aveva ottenuto nel 1741 una concessione generica per la Valtravaglia ed altre valli comasche, per cui, data la precisa testimonianza locale, è certo che si sia in qualche misura occupato del giacimento di Viconago, anche se concentrò poi i suoi sforzi alla miniera della Grigna in Valsassina. Dopo un periodo dì abbandono il giacimento venne ripreso in esame nel 1754 dal cappellano Giuseppe Valsecchi che, dopo essersi fatto rappresentare da Paolo Garzia, il 27 luglio 1776 ottenne la concessione, assieme al cugino Mauro, per piombo, argento e carbon fossile; i lavori vennero però presto sospesi a causa di contrasti con i mastri tedeschi Jacobus de Julis e Federico Standewerg, cointeressati nell’impresa.
Nel 1787 alcuni campioni di minerale di Viconago vennero portati a Milano da Francesco Tonetti, abitante nella zona, ed Ermenegildo Pini vi riconobbe il 33 per cento di piombo contenente, questo, il 5 e mezzo per cento d’argento. Su incarico del Governo Cisalpino, Pini diresse l’estrazione di una quindicina di quintali di minerale che venne trasportato a Begna, vicino Porlezza, e trattati in una officina appositamente costruita accanto alla ferriera esistente. Nel 1789 veniva ancora segnalata la presenza di oro, oltre che di piombo argentifero, e, a seguito dei buoni risultati delle operazioni metallurgiche, venne costituita una compagnia per la coltivazione della Miniera di Viconago. Questa riprese gli scavi, ma dovette ben presto abbandonarli a causa delle infiltrazioni d’acqua. Le coltivazioni vennero riprese nel 1804 da una società costituita dal noto esperto tedesco d’Odmark, ma, dopo avervi speso più di 500.000 franchi, anche questa dovette sospendere i lavori per mancanza di fondi. Nel 1809 il giacimento venne preso in esame dal nuovo governo della Repubblica Italiana di Milano ed analizzato, specie dal punto di vista metallurgico, dall’ingegnere delle miniere francesi Achille DE JOUFFROY (1815).
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gigilugi
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Re: La miniera di galena argentifera di Viconago

Messaggio da gigilugi »

Ecco il documento che il Morbio riportò nel suo Codice Visconteo-Sforzesco del 1846.
Documento datato 1475 che tratta di una concessione sulla minera d'argento in Val Marchirolo (vallis Marchioroli) rilasciata dal Visconte Galeazzo Maria Sforza Duca di Milano ad Andrea Bonsignori.

Qui però per la traduzione devo chiedere aiuto a voi in quanto sono a digiuno di latino...
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Re: La miniera di galena argentifera di Viconago

Messaggio da paoric »

Ricordo che tempo fa l'utente "morione" parlò di queste miniere abbandonate....la domanda che faccio ora è ovvia....nessuno ci sa arrivare?
Grazie

Paolo
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Re: La miniera di galena argentifera di Viconago

Messaggio da Massimiliano »

Sono un geologo varesino, anche se abito a Malnate. Ormai 15 anni fa per la mia tesi di laurea studiai a fondo la zona mineraria dell'Argentera (con vari riferimenti alle altre miniere del Varesotto) dal punto di vista sia geologico-mineralogico che storico. Prossimamente vi farò una sintesi della storia, veramente affascinante, di questa miniera. Per adesso posso dirvi che la zona mineraria principale era situata sotto le case dell'Argentera, ma oggi le gallerie non sono agibili. Ci sono poi altri due scavi minori: uno lungo il rio Cevo presso Cadegliano (rimane qualche metro di galleria) e uno sopra Lavena in cui sono ancora un paio di gallerie agibili con entrata da un'imboccatura secondaria. E' un po' che non ci vado e mi piacerebbe tornarci, se qualcuno è interessato lo scriva sul forum, vedremo di organizzare una piccola spedizione.
:) :) :) :)
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Re: La miniera di galena argentifera di Viconago

Messaggio da paoric »

Ed eccomi qui.... INTERESSATO!! :bigrin: :bigrin:

Adesso ci mettiamo d'accordo in provato poichè in questi giorni sono un pò preso ...

Grazie!
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Re: La miniera di galena argentifera di Viconago

Messaggio da angelo »

Oh, quanta "roba" interessante da leggere.Grazie gigiluigi, :piega: ,un pò di Kultura non televisiva......
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Re: La miniera di galena argentifera di Viconago

Messaggio da gigilugi »

angelo ha scritto:Oh, quanta "roba" interessante da leggere.Grazie gigiluigi, :piega: ,un pò di Kultura non televisiva......
Figurati.
E' una storia che anch'io prima non conoscevo, ed è un piacere condividerla qui sul forum.

Ora aspetto anch'io novità da Massimiliano.

A proposito, il mio benvenuto a entrambi :happy3:

Alegher
gigi
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Re: La miniera di galena argentifera di Viconago

Messaggio da gigilugi »

Estratto da: Relazione del viaggio mineralogico fatto nella Lombardia Austriaca da Ermenegildo Pini nell'anno 1780
_______________


Il Ponte della Tresa è una terra parte Svizzera, e parte Austriaca, che con tal nome si chiama, perciocchè è situato vicino al ponte di Legno, che è gettato sul fiume stesso, e che è confine dei due Stati. Questo luogo è celebre per alcune miniere, o vene di piombo e d’argento, che per antico vi si travagliarono, siccome è comune opinione, la quale è confermata da una memoria esistente in certo libro, da alcuni cavi assai considerabili, che al presente si veggono nella montagna; ed anche dal nome d’una terra vicina ai medesimi, che chiamasi Lavena, ossia La Vena. in questi ultimi tempi vi si fecero diversi tentativi, e varie scoperte, di cui principale autore fu il Sig.r Abbate Valsecchi: ed essendosi questi dippoi associato con altri si formò una rispettabile compagnia, la quale pensava ad intraprendervi un regolare travaglio. Sul principio la cosa fu appoggiata ad alcuni avventurieri venuti da paesi celebri per la cultura delle miniere, i quali colle solite arti abusarono della buona fede della Compagnia, e fecero ad essa spendere considerabili somme, senza che ne venisse alcun utile alla medesima. Finalmente riconobbe l’impostura di costoro, ed essendosene disfatta, saggiamente determinò di far venire alla visita alcuni periti, e di procurarsi dalla Germania col favore della R. Corte un abile caporale di miniere, il quale vi facesse quei lavori, che erano necessari allo scoprimento di grossi, e buoni filoni. Arrivato il perito, esso vi travagliò per alcuni mesi, ma il travaglio finì con avere fatta nel monte una bella galleria alta 6 piedi, larga 3, e lunga 25, colla quale, per quanto sembra, esso ebbe intenzione di incontrare di fianco un filone di miniera già scoperto alla superficie, per vedere se esso profondandosi conteneva minerale migliore di quello, che mostrava esternamente. Questa è minerale migliore di quello, che mostrava esternamente. Questa è in breve la storia di tali miniere. Quanto alla loro natura, esse consistono in una galena a piccoli cubi argentifiera. Anni sono io ne feci l’assagio, dal quale mi risultò, che ogni centinajo di minerale conteneva 32 libbre di piombo, e che ogni centinajo di tale piombo rendeva 8 once d’argento: al quale assagio corrispose quello, che se ne fece fare espressamente in Germania. Perlo che sarebbe stato utilissimo il travagliarla, quando si fossero incontrati filoni abbastanza grandi. Ma questi finora non si sono potuti scuoprire.
Quale sia lo stato presente di queste miniere, o cave io ora l’accennerò brevemente, secondo che le ho vedute. Avvi primamente una piccola cava al mulino del Sacchi lungo un Botro, o piccol torrente chiamato Dourana. Questa, che è un tentativo recente, ha un ingresso assai stretto a cagione delle materie cadute dal monte; è alta circa 2 braccia, e s’innoltra per la lunghezza di pochi passi con una direzione da OqS a EqN. La vena si profonda quasi perpendicolarmente, ed è assai scarsa di metallo.
Un’altra cava, che è antica, chiamasi Argentiera. Essa, che parimenti è vicina al torrente Dourana, consiste in una galleria lunga forse più di 100 Braccia diretta da SqO a NqE. Alla sinistra di chi vi entra avvi un altro cavo laterale lungo circa 25 Braccia, ed assai alto, il quale verso l’estremità è superiormente scoperto; e questo è diretto da OSO a ENE. In questi cavi al presente si scuopre una piccola quantità di galena argentifera insinuata in quartzo bianco, il quale alla superficie si risolve in argilla.
Una terza cava è situata vicino al torrente Tarca, ed è chiamata la Pezza. Questa ha un filone in superficie della montagna, che contiene una miniera mista con Antimonio sottilmente radiato. Oltre l’antimonio sembra esservi miniera di piombo argentifera; ma finora non ho potuto farne l’assagio. Il filone è diretto dall’Est all’Ouest, ed è composto di quartzo misto all’accennato minerale. Questo è quello, che dal perito tedesco fu attaccato lateralmente colla galleria, di cui superiormente ho parlato. Ma non avendo con essa incontrato niente di buono, fu abbandonato il pensiero di proseguirla.
In altri siti ancora truovansi segnali di galena argentifera; come pure incontransi piriti, che sembrano auriferi. E questi sono, che hanno lusingate le speranze di molti, alcuni dei quali hanno rovinate le proprie sostanze per un mal regolato desiderio di trasricchire. Fa compassione insieme, e piacere il sentir parlare tali persone delle loro venture mineralogiche. Non si può a meno di essere sensibile alla miseria, in cui si veggono gettati; ma piace nello stesso tempo la costanza d’animo, con cui ne ragionano. Pare loro di avere fatto assai col solo avere tentata una gran sorte. Ragionano dei loro tentativi, come se fossero stati compagni della espedizione del velo d’oro. La sola ricordanza delle loro lusinghe è per essi un capitale il quale, quantunque non sia spendibile, pure è dalla loro immaginazione valutato assai. Conoscono di essere stati ingannati, ma dell’inganno stesso non sanno querelarsi. Non bramano di aver danaro, se non per impiegarlo in nuovi tentativi di miniere. Non in altra occasione meglio si conosce, quanto sia difficile il rivolgere la volontà dell’uomo da un oggetto, in cui abbia una volta riposte le sue speranze. L’eloquenza di un Demostene, e di un Cicerone avrebbe a riconoscere la propria debolezza, se si accingesse a disingannare simili persone, le quali tanto più si fissano nella loro opinione, quanto più vigorosamente si cerca di distoglierle. Conviene finire con l’augurare loro una miglior fortuna.
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claudio
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Re: La miniera di galena argentifera di Viconago

Messaggio da claudio »

Compliment per la rarità dei documenti pubblicati!
Ma dove li trovi?
P.S.
Per quanto riguarda l' argomento "geologia delle nostre valli" cosa significa che l' argomento è bloccato?
Grazie.
Claudio
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