Il Maglio di Ghirla
Inviato: sab lug 07, 2007 7:55 pm
Dopo la serata di sabato scorso, mi sono resa conto che nel nostro forum non è mai stato scritto nulla riguardo l'antico maglio.....così sono andata a cercare notizie, ed ecco ciò che ho trovato. Ho copiato pari pari il testo di questa pubblicazione della Camera di Commercio a cura di Eugenio Manghi.
IL MAGLIO DI GHIRLA
Tra le strutture di interesse da poco restaurate vi è l’antico maglio che si trova a Ghirla, in prossimità del bivio per Ponte Tresa - Cunardo.
Prima dell’avvento delle macchine mosse dalla forza del vapore o, poco più tardi, da quella dei motori a scoppio, nelle nostre valli la forza dell’acqua era l’unica energia capace di alleviare la fatica di generazioni di contadini, allevatori e artigiani.
Citiamo da uno scritto del 1997 di Gianalberto Ferrari: “Gli antichi mestieri degli abitanti della Provincia di Varese sono citati negli archivi storici del territorio. Alcuni di essi, come il fabbro e il maniscalco, sono tipici della zona varesina. I prodotti che uscivano da queste botteghe erano oggetti di uso quotidiano e merce di scambio con le regioni confinanti: il Milanese e il Comasco. I trasporti, effettuati sempre con carri trainati da buoi e cavalli, che operavano per conto dei fornaciai, dei cavatori di pietra, dei conciatori e delle segherie, garantivano continuità di richieste per la manutenzione delle ruote, dei perni e dei ferri per gli zoccoli degli animali.
Tra questi piccoli nuclei artigianali del ferro, degnamente si inseriscono Mastro Ludovico Parietti e la sua famiglia. Da documenti risalenti alla metà del XVIII secolo è possibile seguire l’attività di fabbro svolta dai figli: Francesco (1752), Ambrogio (1761) e Giuseppe Carlo (1763), inizialmente a Marchirolo. In luogo erano conosciuti con il soprannome di ‘smit’, dal tedesco ‘schmied’, fabbro”.
La storia del maglio di Ghirla nasce da una fortunosa combinazione: la volontà di Ludovico Parietti di acquistare il maglio e il mulino, volendo avviare i nipoti all’arte di fabbro, e la necessità del chierico Giovanni Antonio Orelli, proprietario, che si trovava in ristrettezze, di disfarsi dei manufatti (1777).
“I nipoti erano però già impegnati nell’officina di Marchirolo e oberati dagli ordini più diversificati. Il nonno decise pertanto di affittare il mulino a tale Felice Iardini fu Tommaso, di Ghirla (1780). Risulta che il maglio ad acqua semplificasse una serie di lavorazioni di attrezzi forgiati per l’agricoltura, completi per camini, argani, eccetera. Dopo appena sei anni dalla morte del nonno, i nipoti decisero di cedere il maglio alla famiglia Pavoni e di recuperare solo parte delle attrezzature. Il sogno del nonno, di occupare i suoi ‘abbiatici’ nella duplice arte di mugnai e di fabbri, approfittando della felice combinazione di un maglio quasi unito ad un mulino, era purtroppo rapidamente tramontato. I Pavoni, anch’essi con azienda a carattere familiare, erano specializzati in articoli da maniscalco, particolari ferri agricoli, oggetti forgiati quali vere per tini e catenacci di dimensioni speciali, punte, mazze, eccetera.
Nel 1846, l’ingegner Giacinto della Beffa, che nel ‘29 aveva fatto l’inventario delle fontane della Valganna e studi sul Margorabbia, aveva eseguito in località Ghetto una deviazione per potenziare l’afflusso delle acque in modo che nei periodi di magra il lavoro del maglio non subisse arresti. Lavorando con alterne fortune fino alla metà del novecento, i Pavoni seppero mantenere alto il livello di un artigianato che fu in grado di offrire prodotti di particolare perfezione, capaci di mantenere la fiducia di una clientela affezionata ma sempre più esigente e difficile”.
Il Maglio è oggi proprietà della Comunità Montana, che intende così traghettare nel terzo millenio il ricordo di un’arte appartenente ad una tradizione gloriosa dell’artigianato lombardo.
IL MAGLIO DI GHIRLA
Tra le strutture di interesse da poco restaurate vi è l’antico maglio che si trova a Ghirla, in prossimità del bivio per Ponte Tresa - Cunardo.
Prima dell’avvento delle macchine mosse dalla forza del vapore o, poco più tardi, da quella dei motori a scoppio, nelle nostre valli la forza dell’acqua era l’unica energia capace di alleviare la fatica di generazioni di contadini, allevatori e artigiani.
Citiamo da uno scritto del 1997 di Gianalberto Ferrari: “Gli antichi mestieri degli abitanti della Provincia di Varese sono citati negli archivi storici del territorio. Alcuni di essi, come il fabbro e il maniscalco, sono tipici della zona varesina. I prodotti che uscivano da queste botteghe erano oggetti di uso quotidiano e merce di scambio con le regioni confinanti: il Milanese e il Comasco. I trasporti, effettuati sempre con carri trainati da buoi e cavalli, che operavano per conto dei fornaciai, dei cavatori di pietra, dei conciatori e delle segherie, garantivano continuità di richieste per la manutenzione delle ruote, dei perni e dei ferri per gli zoccoli degli animali.
Tra questi piccoli nuclei artigianali del ferro, degnamente si inseriscono Mastro Ludovico Parietti e la sua famiglia. Da documenti risalenti alla metà del XVIII secolo è possibile seguire l’attività di fabbro svolta dai figli: Francesco (1752), Ambrogio (1761) e Giuseppe Carlo (1763), inizialmente a Marchirolo. In luogo erano conosciuti con il soprannome di ‘smit’, dal tedesco ‘schmied’, fabbro”.
La storia del maglio di Ghirla nasce da una fortunosa combinazione: la volontà di Ludovico Parietti di acquistare il maglio e il mulino, volendo avviare i nipoti all’arte di fabbro, e la necessità del chierico Giovanni Antonio Orelli, proprietario, che si trovava in ristrettezze, di disfarsi dei manufatti (1777).
“I nipoti erano però già impegnati nell’officina di Marchirolo e oberati dagli ordini più diversificati. Il nonno decise pertanto di affittare il mulino a tale Felice Iardini fu Tommaso, di Ghirla (1780). Risulta che il maglio ad acqua semplificasse una serie di lavorazioni di attrezzi forgiati per l’agricoltura, completi per camini, argani, eccetera. Dopo appena sei anni dalla morte del nonno, i nipoti decisero di cedere il maglio alla famiglia Pavoni e di recuperare solo parte delle attrezzature. Il sogno del nonno, di occupare i suoi ‘abbiatici’ nella duplice arte di mugnai e di fabbri, approfittando della felice combinazione di un maglio quasi unito ad un mulino, era purtroppo rapidamente tramontato. I Pavoni, anch’essi con azienda a carattere familiare, erano specializzati in articoli da maniscalco, particolari ferri agricoli, oggetti forgiati quali vere per tini e catenacci di dimensioni speciali, punte, mazze, eccetera.
Nel 1846, l’ingegner Giacinto della Beffa, che nel ‘29 aveva fatto l’inventario delle fontane della Valganna e studi sul Margorabbia, aveva eseguito in località Ghetto una deviazione per potenziare l’afflusso delle acque in modo che nei periodi di magra il lavoro del maglio non subisse arresti. Lavorando con alterne fortune fino alla metà del novecento, i Pavoni seppero mantenere alto il livello di un artigianato che fu in grado di offrire prodotti di particolare perfezione, capaci di mantenere la fiducia di una clientela affezionata ma sempre più esigente e difficile”.
Il Maglio è oggi proprietà della Comunità Montana, che intende così traghettare nel terzo millenio il ricordo di un’arte appartenente ad una tradizione gloriosa dell’artigianato lombardo.