E' un po' lunghetto, scritto in un arcaico italiano datato 1825 e da quanto capito recensisce una pubblicazione: tuttavia non si cita ne il nome dell'autore ne del recensore. Comunque è carino, e la citazione del "picco di Gana" è la ciliegina finale.
Ho dovuto un po' correggere alcuni errori dovuti a una conversione caratteri assai problematica, e tagliare qualcosina laddove era per me impossibile "tradurre".
Il bello è che l'ho trovato per puro caso durante una ricerca che non c'entrava assolutamente nulla, ma proprio nulla, col "Picco di Gana".
Buona lettura.

1825. Una Estate a Varese e ne' dintorni, Lettere ad Erminia. Lugano, Vanelli
Un giovane di 23 anni, che ha percorsa l'Italia, la Francia, l'Inghilterra, l'Olanda e parte della Germania; ha fatto seguire i suoi viaggi ai suoi studj, la sua indipendenza alla sua educazione, la sua ricchezza al suo disinganno intorno a molte di quelle cose, che
sogliono eccitare più vivamente i desideri degli uomini, è un piccolo fenomeno, che taluno potrebbe imaginarsi non esistere che
nelle lettere ad Erminia, e ch' io ho qualche ragione per credere ch'esista in realtà. Colle sue disposizioni d'animo, rinforzate da alcune straordinarie circostanze, si comprende benissimo come questo giovane sia grande amatore della campagna, e cerchi in essa de' piaceri ben diversi da quelli, per cui i suoi coetanei amano ordinariamente le grandi città. Varese, divenuto pei milanesi una villeggiatura di moda, è visitato una volta l'anno dai giovani signori, al cui divertimento è necessaria la moda. Un quadretto ben delineato di tale villeggiatura potea riuscire assai piccante. Ma tale villeggiatura non potea forse invitare a sé il nostro giovane autore. Una estate a Varese era per lui preferibile ad un autunno. E se mai egli volle abitar Varese così una come nell'altra stagione, sentì abbastanza che quel grazioso paese non gli offeriva in ambidue materia di lettere egualmente opportuna. Un quadretto da osservatore sarebbe sembrato sotto la penna d'un giovane una specie d'affettazione. Un quadretto da ammiratore della natura era cosa tanto più conveniente alla sua età, che non si ammira veramente se non in quell'età in cui veramente si ama.
Infatti, per meglio ammirare, il giovane autore si finge compagna del suo soggiorno e delle sue gite quella da cui il suo cuore mai
non si diparte. Essa, intendetelo bene o lettore, non è che I' amica della sua infanzia. Ei le dice ad ogni passo cento cose galanti. Che se la sua asserzione vi fa un poco sorridere, guardate che all'asserzione egli aggiunge delle prove. Erminia, come semplice amica, deve divertirsi d'ogni suo divertimento. Quindi, senza timore di destar in essa veruna gelosia, ei le parla francamente d'una rustica festa data ad una dozzina di fresche villanelle in un suo romitorio detto il Deserto, e d'una giornata alla maniera di quelle del Decamerone, ovè si narra di certa bella signora, che alterna le novelle con sonate d'arpa e romanze, un pò più pericolose al cuore che le ballate di Lauretta e di Pampinea. E ben vero che, mentr'egli crede Erminia tranquillissima a suo rigardo, non vive senza qualche inquietudine riguardo a lei.
Ella è vispa, mobilissima, va all'opera, per ciò che sembra, ogni sera, ed è solitamente contornata da giovinetti non troppo filosofi,
che.... che potrebbero farle dimenticare un istante il suo filosofo del Deserto. Quindi ei le manda dal Deserto i suoi sermoncini, qualche volta anche troppo lunghetti, onde premunirla contro le distrazioni. Ma chi non vede in ciò le tenere sollecitudini della pura amicizia?
Di tante descrizioni di luogo egualmente vivaci che precise, che trovansi nelle lettere, Erminia deve aver preso molto piacere. Di tante descrizioni di cose dubito assai che possa averne preso uno eguale. Per quanto un saggio amico di 23 anni sia sicuro dell'attenzione volonterosa d'una saggia amica di 18, pare che non debba però fidarsene a segno da trattenersi, scrivendole, in cose troppo minute e molto meno in cose poco aggradevoli. Meglio forse discendere meno in fretta dalla Madonna del Monte, e da quell'altezza far godere pili distintamente alla vezzosa Erminia il bel panorama che si allarga all'intorno. Meglio ristarsi un poco più in quel paesetto che porta il nome d'una delle Molucche, e salire a destra del piccol lago certa cima un po' erta, d' onde si vagheggia ad occhio nudo il Verbano e le sue isolette, spettacolo tanto più grato quanto meno atteso dal viaggiatore.
Non so s' Erminia avrebbe desiderata, com' io, qualche pittura de' costumi frammista di tempo in tempo alle descrizioni delle cose e
de' luoghi. Questa era sicuramente preferibile a de' racconti che già trovansi in più libri, e che ripetuti nelle lettere non sono che una
distrazione dal loro argomento. I luoghi da lui descritti avranno anch'essi come il laghetto di Thun le loro tradizioni popolari, e giovava ricordarle, poiché si legano strettamente alla pittura de' costumi. Nella lettera, che s' intitola la felicità domestica, l'autore ha voluto darci una specie di quadro di famiglia; ma realmente non ci ha dato che un idillio. Pure egli si mostra inclinato a qualche cosa di più vero: la famiglia del sindaco di Cavagnano (quadretto che trovasi nella lettera 12 ) può essercene dì pegno, il buon sindaco fu prima soldato: combattè sotto Cornwalliss contro Washington, e poi sotto Massena contro Sowarow. Rimasto prigioniero nella famosa giornata, che decise dell'indipendenza dell'America settentrionale, vide più volte, com'egli narra semplicissimamente, e Washington e Franklin e la Fayette, e gli altri capi americani. "Gran nomi son questi, esclama l'autore, interrompendo il racconto che gli mette in bocca; ed appena potea prestar fede a' miei orecchi, udendoli suonare sulle labbra del veterano in quest' angolo ignorato della terra." Quello, che segue, conferma viepiù la mia persuasione che l'autore è fatto per ben distinguere i particolari del proprio tempo, condizione indispensabile per ritrarcene i costumi.
La fine delle lettera settima; tutta la lettera decima mi aveano messo in una grande aspettazione. Erminia coll'arpa presso la cappella di Teli vincea nella mia fantasia la Corinna cilareggiante presso il capo Miseno, dipinta chi sa dire se più al vivo dalla Stael o
da Gerard. L'apologo dell'efimero mi facea pensare alle api di Maadeville ossia al loro ingegnoso artifizio, dacché per la morale non
può farsene paragone. Ma all'autore è bastato il darci semplicemente indizio di alcune facoltà del suo spirito, riserbandosi forse ad altre occasioni l'adoperarla. Con che non voglio dire che le sue lettere non siano sparse qua è là di pensieri filosofici, e nobilitate da molti generosi sentimenti. Dico soltanto ch'io mi prometteva a questo riguardo più che all'autore non parve per questa volta di dover trarre dal suo animo e dal suo ingeigno.
Io mi prometteva pure ch'egli trarrebbe dai viaggi fatti maggior partito che non gli piacque di trarne. Il confronto di luoghi con luoghi da noi veduti è bello: avviva un quadro e ne allarga la prospettiva. Ma il giovane autore, solito a non perdere di vista ciò che più importa nel mondo, il ben essere cioè di quelli che I'abitano, parea disposto ad altri confronti. Me n'è di prova ciò ch'ei dice nella lettera sesta d'un illustre lord, stato in non so qual parte dell'Inghilterra ciò che in proporzione delle sue forze fu il conte Dandolo in Lombardia. E a proposito di questo brav'uomo, nulla di più opportuno che le pagine consacrate alla sua memoria. Ma esse in fondo non ci danno alcuna vera contezza delle sue idee filantropiche e della sua scuola agraria. L' autore abitò lungamente al Deserto, ce ne fa vedere, per cosi dire, ogni fil d'erba, ogni sasso, ma non ci mostra un solo branco de' merini, che resero celebre quel luogo, d'onde si sparsero fino al capo dell'Arme o delle Colonne; non ci addita un solo campicello di pomi di terra; che salvarono dalla fame gli abitanti all'intorno, e per la cultura de' quali il Dandolo è così benemerito come pel governo delle pecore e dei bachi da seta.
Le lettere sono in tutto 29; e la prima metà è ad ogni riguardo la più bella. Si direbbe che l'autore, dopo la fatica sostenuta nel salire il picco di Gana, di cui ci parla nella 21, abbia perduto un poco la lena. Ciò si applichi egualmente alle cose e allo stile. Di questo non s'è ancor detto nulla e basta una sola parola. Esso è in generale molto aggradevole; potrebbe essere in alcuni luoghi più corretto; in altri più rapido e più disinvolto. Ma la rapidità e la disinvoltura dipende forse dal punto di veduta in cui uno scrittore si mette riguardo alle cose di cui vuol parlarci. Anche negli argomenti, in apparenza più leggieri, questo punto di veduta, per corrispondere ai bisogni del secolo, debb'essere molto elevato. Il nostro giovane autore par dir lo senta abbastanza; e noi abbiamo ragione di promettercene qualche prova anche più notabile della sua estate a Varese.