Ecco alcuni passaggi tratti dal libro ‘Quel tragico venerdì del 26 Novembre 1920 a Vergiate’ scritto da Elso Varalli, che ci aiutano a capire le dimensioni di quella tragedia.
Insediata a Vergiate nel corso della prima guerra mondiale la ditta ‘Rossi’ aveva occupato centinaia di dipendenti e produceva esplosivi e cariche per proiettili. Cessata la guerra fu trasformata l’attività dedicandosi alla realizzazione di prodotti chimici, destinati alla coltura dei campi (nitrato ammonico), ottenuti dal riutilizzo di polveri ed esplosivi estratti da proiettili che, in continuità, a mezzo ferrovia, giungeva dai depositi delle retrovie dell’ex fronte.
Nell’agosto del 1919, con la scusa della trasformazione da industria bellica in azienda chimica, licenziò tutte le maestranze per sfasciare l’organizzazione operaia e riassunse i più fidi. Le bombarde continuarono però ad arrivare ed il lavoro aumentò. Istituì di nuovo il cottimo che portava a giornate lavorative di 12-13 ore, senza quelle cautele con cui poteva essere compiuto il lavoro a giornata. Quindi lavoro intensivo ed operai meno esperti, con conseguente maggiore rischio di infortuni. I rapporti erano tesi sotto il profilo sindacale ma c’erano preoccupazioni anche sulla sicurezza del lavoro. La stampa informa che il 13 gennaio 1920 una gravissima sciagura si è verificata presso il polverificio dr. Rossi, con lo scoppio di una caldaia a vapore che provoca la morte di un giovane lavoratore e il grave ferimento di un fuochista. Il 6 settembre 1920 un soldato addetto alla sorveglianza viene ferito gravemente e perde tre dita della mano destra.
Inoltre giunge all’azienda materiale non previsto. La stessa direzione avverte il 13 luglio 1920 l’Ispettorato delle costruzioni di artiglieria in Roma che da alcuni giorni arrivano allo stabilimento di Vergiate vagoni di bombe da trincea di piccolo formato cariche di esplosivo cheddite. Non esistono accordi per la lavorazione di bombe cariche di tale esplosivo e si chiede la sospensione di questi arrivi e la riconsegna del materiale, ma dall’Ispettorato non arriva risposta. Lo stabilimento era formato da vari capannoni costruiti in legno e ricoperti da tetti con protezione in catrame.
Proprio in uno di questi capannoni, alle ore 12.45 di venerdì 26 novembre 1920 si verificò il primo scoppio. Una densissima colonna di fumo si sprigionò quasi subito, assumendo proporzioni gigantesche; poi una pioggia di legnami, schegge di bombe di tutte le dimensioni, e di proiettili inesplosi, si riversò per un raggio di oltre due chilometri attorno allo stabilimento. Vetri rotti, tetti scoperchiati, case lesionate, tutti sintomi paragonabili a quelli di una violentissima scossa tellurica.
La gente si riversò nelle strade, intuendo e temendo il peggio. Si soccorsero i feriti da vetri e da calcinacci, si fece un primo
rapido inventario dei danni e venne abbandonato il paese cercando rifugio nelle campagne, mentre si verificava una serie di altri piccoli scoppi. Presso lo stabilimento il primo scoppio (verificatosi al reparto Paraffina ed acido picrico) ed i successivi avevano propagato il fuoco ai rottami sparsi ed alla brughiera, provocando una seconda esplosione alle ore 13.05, sempre nello stesso reparto ed una terza, ancora più terrificante, alle ore 13.40 presso il deposito scoperto. Seguiranno altri scoppi alle 16.30 (potente e impressionante anche questo), alle 22.45, alle 23.15 e alle 2.00 del 21 novembre.
Con i primi due scoppi furono lesionati molto edifici a Vergiate, Sesona ed in altri centri fino a Somma Lombardo; al terzo scoppio la cerchia dei danni si estese in modo più massiccio a Sesona e raggiunse Sesto Calende ed Angera da un lato, e Gallarate, Casorate Sempione, Besnate, Mornago e Casale Litta dall’altro.
Infatti l’incendio, divampante con fiamme altissime, aveva raggiunto anche i depositi di granate, adiacenti alla fabbrica, disposti in file di varie centinaia lungo la scarpata. Questi presero fuoco con una esplosione formidabile che ebbe effetti disastrosi per la piccola frazione di Sesona. Si determinarono scene di terrore tra la gente ancora rimasta nel paese che cercava un impossibile rifugio contro la furia degli eventi.
Con la linea ferroviaria bloccata, senza luce, telefono e telegrafo, in quanto i pali della rete elettrica erano tutti divelti, Vergiate e frazioni si trovarono di colpo separate dal resto del mondo, ripiombate in un nuovo medioevo. Sopra Vergiate prendeva consistenza un enorme pino di fumo giallo-nerastro che ingigantiva a vista d’occhio.
Il bilancio di quel terribile 26 novembre 1920 fu impressionante e sbigottì i soccorritori.
Tutti i mezzi atti a favorire la fuga furono utilizzati dalla popolazione terrorizzata; camions, automobili, biciclette, carri e cavalli, carretti carichi di masserizie fecero equamente il loro servizio. Intere famiglie, raccolte nei campi con le giovenche appresso, o sostanti ai bordi delle strade, fornivano l’idea dell’esodo di tutta la popolazione.
L’abitato di Vergiate presentava un desolante spettacolo di case scoperchiate, colpiti il palazzo comunale, le scuole, la casa del Popolo, la chiesa parrocchiale era completamente devastata; ma i maggiori danni causati dagli spaventosi scoppi dei depositi di proiettili li ebbe la frazione di Sesona, più vicina alla fonte delle esplosioni e praticamente ‘coventrizzata’, ossia rasa al suolo.
L’elenco dei morti causati dal grave sinistro probabilmente non potrà mai essere compilato con assoluta esattezza, in quanto nulla si è saputo della sorte dei 31 militari che prestavano servizio all’interno dello stabilimento e non si sa neppure il numero preciso dei dipendenti in forza all’azienda e presenti al momento dello scoppio. Ufficialmente sono stati registrati 20 morti e circa 200 feriti.
I danni furono incalcolabili. Solo per gli immobili si stimarono danni per 3.278.161 lire a Vergiate, 635.149 lire a Sesona, 97.476 a Cimbro, 74.087 a Cuirone, 12.243 a Corgeno. La documentazione ufficiale parla di una cifra complessiva di danni che si aggirava fra i 7 e gli 8 milioni di lire dell’epoca, una cifra enorme.