Il primo di questi riguarda le carbonaie il cui autore è il sig. Pietro Perrucchetti che il 13 novembre festeggia i 60 anni di matrimonio con la moglie sig.ra Antonia. Cogliamo l'occasione per fare loro un mondo d'auguri.

UR BASCIOT DELA CARBONERA
Storia tramandata – periodo di dominazione austro-ungarica-Lombardo Veneto- 3 guerre d’indipendenza per l’unità d’Italia e fino al termine della guerra mondiale 1915-1918 ed oltre la seconda 1940-1945. Cessato il tempo della pietra focaia. –
Gli stati Europei si misero all’opera per l’estrazione del carbon fossile per il riscaldamento e l’industria nel limite consentito sia per la lavorazione che per i trasporti.
I carbonai, continuando sempre la loro opera, si davano da fare per la lavorazione ed il commercio del combustibile di origine vegetale. Nel 17° e 18° secolo e per la metà del 19°, i boscaioli cominciarono il disboscamento e gli scarti erano trasformati in combustibile domestico (carbone vegetale o carbonella) nelle carbonaie tra le selve.
Si parla dei versanti del Monte Piambello, Vallscura, Intrana, Sasso Bolle, Sass Negher, Funtanit,
Post du Pastor, Lot, Desert, Valle magra, Matraunda, Prebalzarin, Valet, Pradasc, Val du paun, Selva, Dizz, Caser.
Si preparavano le piazzole di dimensioni pari o più grandi delle carbonaie che si dovevano accatastare. La terra in zolle veniva messa da una parte per coprire la legna accatastata e forma di campana con una altezza di tre metri e con un diametro alla base di cinque o sei metri.
Questi preparativi venivano effettuati dagli stessi boscaioli esperti del lavoro. La catasta veniva coperta con zolle, terriccio e ramaglia per renderla impermeabile e poi veniva accesa nella parte inferiore attraverso una sorta di piccola galleria realizzata con bastoncini ben essicati, oppure da quella superiore, praticando una sorta di cono centrale nel quale venivano gettate alcune palate di legname minuto già in fiamme, chiamate lippe.
La “cottura”richiedeva precisione ed esperienza. Il fuoco interno doveva espandersi regolarmente per evitare cedementi della catasta.
Giorno per giorno il carbonaio, dopo aver ascoltato il “respiro” del fuoco, quando, a suo parere esso si faceva difficoltoso, praticava con degli arpioni dei fori ai fianchi della catasta per dare sfogo all’aria e “nutrire” così , con dosaggi ben equilibrati, la vita del fuoco.
A volte invece,il carbonaio interveniva tappando o stappando i fori di alimentazione assicurando il tiraggio in modo da evitare che si potessero formare degli spazi “soffocati” che avrebbero compromesso la “cottura” del carbone.
Le cataste erano costituite da 120-150 quintali di legna. Essa era accatastata orizzontalmente nella parte inferiore per facilita “l’abbruciamento” e verticalmente nella parte superiore.
La “cottura” durava talvolta anche due settimane e solo il perfetto dosaggio dell’aria e del fuoco consentiva una combustione oittimale.
Al termine, dopo essere stato raffreddato con acqua, il carbone era pronto per essere insaccato e portato a valle, mentre il materiale di copertura veniva solitamente utilizzato per cataste successive.
I carbunat, quelli che assistevano alla “cottura” della carbonera, lavoravano quasi sempre”a cottimo”. Si contrattava “l’impiego” nel luogo di residenza dei carbunat e, in un ricordo tramandato da generazioni parla di “quelli del Luinese”, di quel Borgo di Monteviasco..ed erano chiamati: Pà Tonio, Pà Giacom e detti Muntit.
Vicino alla carbonera, il boscaiolo costruiva la baita: fatta con pali di legno con i lati ed il tetto rivestiti di ginestra , zolle di terra ede erba secca per ternerla al ripario dalle intemperie. Aveva il diritto, il boscaiolo o il guardiano, con il relativo permesso forestale, di allevare un paio di capre che egli mungeva per avere il latte per il tempo necessario. Gli animali venivano forniti dal proprietario del fondo che gli arrotolava al collo una canavrela a mo’ di collare per legarle e per appendere la caratteristica campanella: essa era “fatta” di castano o di nocciolo.
I Muntit si concedevano, se il lavoro alla carbonera lo consentiva, di scendere a fine settimana all’osteria del più vicino paese e per vincere la solitudine prendevano sbornie solenni.
Il carbone si commerciava anche sul luogo, pesandolo con stadere e centenè al momento della trattativa ed il trasporto veniva per la maggior parte effettuato da donne che ne trasportavano gerle
con in peso di 40-50 chilogrammi per ogni viaggio, anche lunghissimo.
Il carbone veniva stoccato in una cantina umida in modo da conferirgli una valida consistenza in relazione all’aumento di peso causato dall’umidità.
Il carbone si usava negli alberghi e trattorie per alimentare i fornelli per la cottura degli alimenti:
essi erano costruiti appositamente, incassati nei muri ed alimentati con aria creata dallo sventolio di scopetti “a mano” fatti con penne di gallina, oche o tacchini.
Si parla del versante del Monte Piambello: dove i boschi non erano attraversati da strade per il trasporto e quindi la resa del carbone ricavato, in peso e quantità, era ridotto calcolando la riduzione in una percentuale di circa il 40-50%.
I proprietari dei fondi erano i medesimi boscaioli che, pratici del mestiere, si incaricavano con i familiari di impiantare la carbonera e di sorvegliarne la “cottura”.
Ta queste famiglie emergeva il commerciante, il quale si incaricava della vendita, sia al dettaglio che all’ingrosso. Cito un ricordo “Boarezzese”.
Un certo Salvadori, detto Salvado’ vecc, si recava di sovente a Milano per le trattative del combustibile con l’Ospedale Maggiore di Milano. Il trasporto venne fatto con i muli ed al ritorno, per ritorsione e “gelosia commerciale” venne ucciso lungo la vecchissima strada (la prima strada di comunicazione tra Boarezzo e Ganna). Il luogo dove avvenne il delitto è tutt’ora chiamato “Crocetta-Cruseta”, poiché vi venne eretta una croce ed un muretto ancora visibile.
Un altro fatto “Boarezzese” parla di un certo Barba Andrea, boscaiolo e carbunat, anch’egli affarista, che venne “insacchettato” con un involucro contenente sabbia battuto sulla schiena continuamente, sembra per varie ore, così da procurargli con il tempo, sicura morte. Questo si dice sia successo in località Vallscura: …rancori commerciali !
Il ricordo dei tempi passati è testimoniato dalla premiazione con relativo attestato, che fu consegnato sul luogo (a Boarezzo), al pover Lisander Chini, per avere una cottura del carbone così professionale da produrre, dopo la scopertura della catasta, una fascina intera, intatta, ancora legata
con la torta di legno: il tutto in puro carbone vegetale (pensate alla fragilità-n.d.r.). Un genio della
cottura, un genio di professionalità.
Così, sulle falde del Piambello, rimangono ancora piazze carbonare ed è sufficiente raschiare il terreno per trovare le tracce del carbone prodotto un tempo. Questi “Basciot” facevano in modo che il terreno ed i boschi fossero puliti, lindi, mentre ora assistiamo con rammarico ad uno scempio del suolo boschivo che inquina e ferma o rallenta il germoglio del territorio forestale.
Vittorio Pietro Perucchetti, detto “Pizzigulin”